Il delegato RSU si trova a dover gestire riunioni od assemblee, su una molteplicità di aspetti della vita sindacale.
L’assemblea sindacale non è proprietà della RSU, anche se spetta ad essa convocarla.
Chiunque può partecipare e se lo fa, vuole, giustamente, contare, parlare, e non solo ascoltare. Quando la partecipazione è attiva ed implica la decisione, il clima della riunione varia, qualche volta è normale, qualche altra è difficile o addirittura ostile.
Ogni riunione, quindi anche l’assemblea, esige una preparazione che richiede tempo (al crescere dell’esperienza però i tempi divengono meno dilatati).
Non è difficile, si tratta di immaginarsi cosa si aspetta chi partecipa all’assemblea.
In fondo il protagonista è lui, non il relatore. Individuare i bisogni dei partecipanti serve per distinguerli da quelli del relatore, che sono diversi.
Il relatore in genere pensa che basti conoscere un argomento per parlarne.
Allora si concentra sui contenuti.
Non è del tutto vero per una lezione, o una conferenza, lo è ancor meno per un comizio, o per un’assemblea. C
hi ascolta non è “vuoto”, ma pieno di aspettative e di bisogni, di informazioni o “pre-giudizi” sull’argomento.
Chi partecipa può avere già delle idee sul tema, per averne parlato con colleghi.
Allora non serve imprecare contro la disinformazione e pensare di essere vittime di un complotto. Chi crede (o vuole credere) ad una certa notizia lo fa, non per mala fede, ma spesso per soddisfare un bisogno (di rassicurazione, o altro) che è bene tener presente.
Le aspettative dei partecipanti sono diverse, talvolta opposte anche sullo stesso argomento, perché vi sono differenze tra i lavoratori, non solo tra aree professionali e tra le diverse categorie, ma anche all’interno della stessa categoria: differenze culturali, di orientamenti politici e sindacali, ovviamente, ma anche differenze dovute all’atteggiamento verso il lavoro e al grado di inserimento se sono da pochi giorni o da anni.
Il delegato, a differenza del sindacalista (specie se esterno), ha modo di raccogliere facilmente e direttamente molte informazioni sulle attese e sulle idee dei partecipanti perché li incontra, li ascolta, parla con loro sul luogo di lavoro.
Un utile esercizio prima di una riunione è raccogliere ed esaminare i prevedibili punti di vista di chi parteciperà.
Gli obiettivi. Ogni riunione ha (dovrebbe avere) un tema di discussione e/o di decisione.
Può essere informativa e/o decisionale.
Il relatore deve chiarire i propri obiettivi, analizzare le idee o le attese dei partecipanti, mettere in relazione i primi con le seconde.
Per rendere più semplice questo lavoro è bene disarticolare il tema in nuclei semplici.
Ad ognuno si associano sia il nostro obiettivo, sia i (previsti) punti vista dei partecipanti, sia il modo in cui intendiamo trattarli.
Questo lavoro ci consente di preparare ciò che serve per condurre l’assemblea:
- la scaletta della relazione;
- un elenco di domande che potrebbero essere poste durante l’assemblea e le eventuali risposte da dare, utile per la gestione della discussione;
- una strategia di comunicazione e di gestione delle fasi dell’assemblea;
- una o più schede sul tema, una o due pagine al massimo da distribuire ai partecipanti per spiegare punti complessi e non disperdere la discussione in questioni tecniche o di dettaglio.
Tutto questo richiede tempo, ma garantisce una maggiore efficacia dell’assemblea.
La scaletta. Il tempo è una risorsa scarsa. Le cose da dire sono tante. Occorre quindi preparare una scaletta della relazione: selezionare gli argomenti da inserire nella relazione e quelli da discutere nel dibattito o nelle conclusioni; e distribuirli in una successione di importanza in base ad una strategia di comunicazione, all’idea che abbiamo attorno alle informazioni e le attese dell’uditorio, e non solo in base alle esigenze di chi fa la relazione.
Non sempre l’impostazione migliore è quella della sequenza “logica”, di tipo deduttivo (dal generale al particolare).
Le domande difficili. Quelle che potrebbero essere poste durante l’assemblea e le eventuali risposte da dare.
È bene decidere che strategia adottare per le domande difficili. Ve ne sono di diversi tipi.
Una domanda è difficile perché non si conosce la risposta o l’argomento (ad esempio sulla normativa).
Allora è meglio ammettere di non sapere, ma promettere di informarsi e di dare la risposta il giorno dopo.
Essere informati va bene, ma non si può essere onniscienti.
I lavoratori apprezzano non solo chi sa (o mostra di sapere) tutto, ma anche chi si fa carico di un problema.
Una domanda è difficile se la risposta è difficile: implica dare un giudizio o decidere che fare.
In questo caso, in genere, la risposta deve essere trovata collettivamente proprio in assemblea.
Una domanda difficile può anche essere un gesto di ostilità. Chi lo fa vuole mettervi in difficoltà.
Quanti relatori. La RSU è composta di più persone. Occorre quindi mettersi d’accordo su come condurre l’assemblea e quali proposte fare.
È preferibile che vi sia un solo relatore se il tema è unico.
Se i temi sono più d’uno, può essere utile che i delegati se li dividano tra loro.
La strategia da adottare cambia se si è l’unico relatore o si parla con altri che, magari sui punti da discutere, hanno anche posizioni molto differenti.
Una strategia. A seconda che l’assemblea sia informativa o decisionale, a secondo del clima che si prevede, occorre stabilire una modalità di gestione. Vi sono due modelli estremi.
Tradizionale: tipo relazione/dibattito/conclusioni, adottabile nella gran parte dei casi.
È consigliabile (ma difficile da praticare) destinare poco tempo alla relazione e molto agli interventi e alle conclusioni.
È più facile ottenere il risultato utilizzando qualche strumento di comunicazione e distribuendo la scaletta o del materiale informativo per illustrare aspetti secondari o troppo tecnici.
Botta e risposta, come fosse un’intervista o una conferenza stampa, con domande/risposte invece della relazione. Il modello è adottabile se prevediamo un uditorio già preparato sull’argomento che potrebbe quindi annoiarsi a sentire una relazione.
Dall’esperienza possiamo elaborare più modelli di conduzione da adoperare nelle diverse situazioni.
Ciò permetterà anche di modificare il modello scelto nella fase di preparazione quando risulta non adeguato alla situazione reale.
Il materiale. Le parole non bastano per comunicare. Occorre anche del materiale scritto che deve essere preparato.
Spesso per motivi di tempo vengono fotocopiati testi integrali di circolari o di leggi che interessano solo gli addetti ai lavori, mentre i lavoratori preferiscono informazioni strutturate e chiare, e semmai l’indicazione della fonte.
È bene quindi dedicare del tempo a questa attività curando, anche in un gruppo, l’informazione da dare.
Il materiale deve poi essere distribuito.
Se l’argomento è semplice il materiale si può distribuire direttamente in assemblea.
Se il tema è complesso, a seconda che l’assemblea sia informativa o decisionale, è bene distribuire il materiale qualche giorno prima.
Occorre anche pensare a come distribuirlo.
Non basta lasciarlo negli ingressi delle strutture in mezzo a montagne di altre carte, bensì si ricercheranno spazi appositi e ben visibili e accessibili da tutti.
Condurre l’assemblea. Il relatore è solo, alle prese con l’assemblea e con se stesso.
Parlare in (e con il) pubblico produce ansia, per il timore di non essere capace, o di fare cattiva figura (non saper rispondere ad una domanda difficile o ostile).
Fino ad un certo livello l’ansia è inevitabile, anzi positiva, perché aiuta, migliora la prestazione.
È naturale essere ansiosi, non occorre preoccuparsi di esserlo, per non accrescere l’ansia inutilmente.
Se il livello d’ansia è eccessivo, potremmo perdere il controllo della situazione.
Avere un livello d’ansia normale dipende dal grado di sicurezza di sé, che si può raggiungere in diversi modi (la conoscenza degli argomenti, ma anche fare un respiro profondo).
Facile a dirsi.
Preparare l’assemblea o la riunione, cercare di prevedere cosa potrebbe accadere e decidere cosa fare è anche un buon modo per tenere a bada l’ansia.
Purché si dia per scontato che non è possibile prevedere tutto.
Gestire l’ostilità. Un altro timore è essere attaccato da un intervento ostile. In questo caso non perdete la calma. In fondo sono solo parole.
Anche questo è facile a dirsi.
L’ostilità è meno probabile di quello che si teme. Il clima di una riunione o dell’assemblea è molto differente a seconda che sia condotta da un delegato, che è collega dei partecipanti, e viene quindi percepito come una persona, o sia condotta da un sindacalista esterno, che viene visto come un ruolo soprattutto se interviene su un tema che è sottratto alla possibilità di intervento da parte del lavoratore.
L’assemblea è anche un mettersi in mostra, un teatro delle “maschere”, un gioco di ruoli ma anche di emozioni. Può accadere che l’ostilità sia solo parte di questo gioco.
Attenzione a non confondere un intervento critico, o divergente, o anche radicale, ma argomentato, con una ostilità che tende ad attaccare la persona del relatore.
Per le invettive si spera solo che non durino troppo. Il silenzio è spesso l’arma più efficace. È più probabile avere a che fare con un intervento disfattista, di chi non gli va bene nulla. Allora può essere utile chiedergli di fare proposte concrete: “tu come faresti?” “come risponderesti?”.
La discussione. In questa fase occorre ascoltare e capire: quello che viene detto e quello che non viene detto. Non è facile.
Non tanto dire o pensare “quello non ha capito”, quanto cercare di comprendere perché noi non siamo stati compresi: siamo stati poco chiari? non abbiamo risposto ad esigenze?
È male non ascoltare, peggio dimostrare di non ascoltare.
La conclusione. L’assemblea non si deve concludere per caso, per sfinimento. Occorre mantenere il tempo per concludere, per due motivi:
- dare risposte, chiarire incomprensioni;
- riconfermare un patto con i partecipanti o almeno con una parte, raccogliendone critiche ed osservazioni, senza con ciò condannare gli altri, quelli inesorabilmente (per noi) critici.
Non occorre tracciare la linea di confine, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi.
Strumenti della comunicazione. Si ricorda poco quello che si ascolta, molto di più quello che si vede.
Quindi per migliorare l’efficacia della nostra comunicazione in assemblea occorre usare uno strumento visivo.
Uno è lo stesso relatore, i suoi gesti, il tono della voce, ma non trattandosi di un venditore non è il caso enfatizzare questo aspetto.
È bene però riflettervi.
Schede. Riassumere in uno o due fogli le questioni oggetto dell’assemblea.
Potete farvi riferimento durante la relazione per i punti che non trattate o per quelli in cui vi sono calcoli o tabelle complesse (se possibile sostituirli con grafici) oppure schemi.
Lavagna a fogli. È indicata per riunioni di lavoro di una ventina di persone al massimo.
Serve sia per comunicare meglio quel che volete dire, sia per raccogliere e sistemare le idee e le proposte che emergono, per concentrare l’attenzione su quello che la riunione deve produrre.
Scrivere a stampatello e a grandi caratteri per tener conto di quelli che sono a una certa distanza. Usare il nero/blu per scrivere e il rosso/verde per sottolineare.
Parlare rivolti al pubblico.
Anche in questo caso è bene, le prime volte, preparare su un foglio il testo da scrivere alla lavagna per organizzarlo in modo chiaro.
Lucidi. Croce e delizia dei corsi di formazione, ma anche delle assemblee.
Aspetti positivi:
- attirano l’attenzione (se sono pochi e ben fatti)
- danno sicurezza al relatore, perché forniscono anche la traccia della relazione
- trasmettono la sensazione che il relatore ha lavorato alla relazione e quindi è preparato
- si possono riutilizzare
Un consiglio: non eccedere con gli effetti speciali.
Esercitarsi. S’impara a nuotare nuotando. Per migliorare le proprie capacità di comunicazione occorre esercitarle.
Preparare una assemblea, condurla e verificare come sono andate effettivamente le cose.
Per rendere più facile la riflessione è bene scrivere una sorta di diario dove registrare strategia prevista, risultati, punti di difficoltà.
Inoltre, può essere utile le prime volte fare l’assemblea con una persona amica che osserva il vostro comportamento in base agli obiettivi che avete dichiarato di voler raggiungere e che avete concordato con lei. In tal caso è possibile anche mettere a fuoco la comunicazione non verbale. Chi partecipa ad un’assemblea ne è influenzato in modo preponderante.
Se avverte uno scarto tra comunicazione non verbale e verbale è portato a credere più alla prima che non alla seconda.
Quindi è bene riflettere sul nostro comportamento.
Il massimo è farvi riprendere da una telecamera, per poi commentare assieme al vostro osservatore.
Non temete se il vostro (naturale) narcisismo potrebbe soffrirne, o goderne.